I primi segni del Cristianesimo nell’antica Sibaritide risalgono agli inizi del II secolo.
Da Thurii, infatti, colonia panellenica fondata da Atene in luogo dell’opulenta Sibari, proveniva San Telesforo, vescovo di Roma e Papa dal 125 al 136.
Nei documenti ufficiali Thurii compariva come sede vescovile nel V secolo. Secondo l’archeologo Paolo Orsi, essa era già diocesi alla fine del IV secolo, come si evince da un frammento di lapide ritrovato nel monastero di S. Adriano, in S. Demetrio Corone.
Dopo il 680 non abbiamo più notizie di questa diocesi. Tra la fine del VII e gli inizi del VIII secolo i vescovi di Thurii decisero di trasferirsi altrove, a causa delle continue scorrerie e dei saccheggi perpetrati nella città. Proprio a seguito della conquista della cittadina sibarita da parte del nemico saraceno, i vescovi furono costretti ad interrompere i rapporti con la città pontificia.
Questo momento segna l’inizio della decadenza di Thurii a favore della città di Rossano che viene, così, proiettata verso quel ruolo politico e religioso che le consente, in poco tempo, di affermarsi e di richiamare su di sé l’attenzione della elegante aristocrazia della corte orientale. Alcuni storici locali del secolo scorso e del XIX sostenevano la tesi oggi confutata e superata che la diocesi di Rossano avesse avuto origine nel 625 e che tale data coincidesse con l’arrivo del Codex Purpureus in città.
Più accreditata è l’ipotesi che la diocesi di Rossano sia nata nel secolo successivo, quando la città iniziò ad essere un importante centro di vita civile, amministrativa e militare. Proprio in questo periodo viene nominato un Papa rossanese con il nome di Giovanni VII, pontefice dal 705 al 707. Affascinante l’ipotesi che il trasferimento dalla sede di Thurii a quella di Rossano sia da attribuire al Santo Padre, nativo di Rossano. Più plausibile, tuttavia, che il trasferimento da Thurii a Rossano, nel momento della sua acme politica e culturale, sia stato determinato dal riassetto politico, amministrativo e religioso avviato dai bizantini.
Nel X secolo Rossano è già un affermato centro di cultura bizantina. In seguito all’invasione di Reggio Calabria da parte dei Saraceni, la sede dello Stratega si sposta nella cittadina dell’alto Ionio per diventare, da quel momento in poi, il più importante centro bizantino della Calabria, con il conseguente richiamo in città di numerosi funzionari, patrizi e impiegati imperiali.
Sono gli anni di Giovanni Filagato, più tardi conosciuto come l’antipapa che, grazie alla sue competenze culturali, approda alla corte di Ottone II in qualità di cancelliere imperiale, divenendo il precettore del piccolo Ottone III e del nipote Brunone (futuro papa Gregorio V).
E’ l’epoca di Shabbettai Donnolo, medico, farmacologo e astrologo, insigne rappresentante della cultura ebraica dell’Alto Medioevo. Autore di trattati in lingua ebraica, fu tra i primi ad aver redatto testi di medicina nell’Europa medievale, nel ruolo di medico alla corte del governatore bizantino, come tramanda San Nilo, illustre esempio della spiritualità e della cultura che si respira in città, eccellente calligrafo e innografo, studioso delle Sacre Scritture e della vita dei Padri del deserto.
Testimonianze emblematiche della Rossano bizantina, conservate a tutt’oggi nella città , sono, in primo luogo, l’icona dell’Achiropita, della quale si segnala l’imponente culto da parte della comunità rossanese, le chiesette bizantine di San Marco e della Panaghia, all’interno delle quali sono stati rinvenuti alcuni affreschi di grande pregio, ed il famoso Codex Purpureus.
Il Codex purpureus Rossanensis
Dati bibliografici
ll Codex purpureus Rossanensis, che si annovera da tempo immemorabile tra i beni della Cattedrale e dell’Arcivescovado della città, è custodito dal 18 ottobre 1952 presso il Museo Diocesano di Arte Sacra. Citato per la prima volta nel 1831 da Scipione Camporota, canonico della Cattedrale cui si deve una prima sistemazione e l’attuale numerazione con inchiostro nero delle pagine, fu portato agli onori delle cronache nazionali nel 1846 dallo scrittore e viaggiatore Cesare Malpica nel saggio “La Toscana, l’Umbria e la Magna Grecia: impressioni”. Nel 1880 gli studiosi tedeschi Oskar von Gebhardt e Adolf von Harnach pubblicarono a Lipsia lo scritto “Evangeliorum Codex Graecus Purpureus Rossanensis”, presentando così l’evangeliario all’attenzione della cultura europea ed internazionale.
Problemi filologici
Numerosi studi e ricerche di notevole spessore scientifico, da più di un secolo, stanno impegnando storici, paleografi, studiosi d’arte bizantina, neo-testamentari ed esperti di filologia biblica nella risoluzione di due problemi filologici:
– dove è stato realizzato il Codex e quando?
– quando e da chi è stato portato a Rossano?
Per quanto concerne il primo quesito, la teoria che trova maggiore credito è che il manoscritto adespoto sia opera di una produzione scrittoria di un centro dell’Oriente. Sull’ubicazione precisa di tale centro, tuttora, non c’è conformità di pareri tra i ricercatori. Alcuni sono dell’avviso che il luogo d’origine sia la Siria, in particolare la città di Antiochia, oppure un centro dell’ Asia Minore, precisamente la Cappadocia o Efeso. Altri pensano ad Alessandria d’ Egitto, quale città d’origine. Altri ancora optano per Costantinopoli.
Quasi tutti i ricercatori suddetti concordano nel datare il codice intorno alla metà del secolo VI. La professoressa Fernanda de Maffei dell’Università di Roma sostenne, con una serie di studi e relazioni effettuate tra il 1974 e il 1978, che il Rossanensis sia stato realizzato in Cesarea di Palestina e che la data di stesura sia da anticipare alla prima metà del secolo V. A quanto pare, quest’ultimo studio è quello che maggiormente viene apprezzato e riconosciuto come valido e verosimile per ciò che concerne la realizzazione e la datazione dell’evangeliario.
Per quanto concerne il problema delle modalità e dei tempi di arrivo del Codex, la maggior parte degli studiosi asserisce che a condurlo a Rossano siano stati i monaci iconoduli, migrati dall’Oriente nell’Italia meridionale, quindi anche in Calabria, per sfuggire all’odio iconoclasta dei bizantini intorno alla metà del VIII secolo.
Una di queste comunità di monaci si stabilì in uno dei tanti monasteri rupestri ipogei, costituiti da grotte arenaree del tipo lauritico, che formano la “Montagna Santa” della città jonica.
Il Codex e il rito greco-orientale
Quasi certamente il Codex veniva usato durante la Messa, dato che la diocesi di Rossano era fortemente legata al rito di lingua greca, praticato fino al 1462 circa, nonostante ovunque fosse già in uso quello latino.
Dopo lo scisma della Chiesa Orientale, infatti, i Normanni conquistarono l’Italia Meridionale, riportando le diocesi calabresi sotto la giurisdizione di Roma e avviando l’opera di latinizzazione della lingua e delle strutture. Rossano, dove la cultura e la tradizione greca erano più radicate, reagì contro questa politica ed ottenne che le venisse concesso il mantenimento del rito greco. Il conte Ruggero, considerata la delicata situazione politica e, nel contempo, per ingraziarsi clero e popolazione, elevò Rossano al rango di Arcidiocesi (1085), chiedendo come contropartita il passaggio sotto la giurisdizione di Roma e, di conseguenza, al rito latino, fortemente sostenuto dall’ arcivescovo di Reggio Calabria, Mons. Matteo Saraceno. In questa fase, inevitabilmente, i testi greci caddero in oblio e furono archiviati. In un inventario del Settecento si parla di circa trenta libri scritti in greco e custoditi nella sacrestia della Cattedrale. Il progressivo disinteresse e la dimenticanza, seguito al disuso liturgico dei testi, condusse, verosimilmente, allo smarrimento o alla distruzione della maggior parte di essi, inclusi i Vangeli di Giovanni e Luca, di cui il Codex è mutilo.
Il Codex modello di pregiati manoscritti greci
Durante il periodo in cui fu in auge il rito greco, è verosimile che il Rossanensis abbia influenzato l’attività scrittoria testimoniata nella città a partire dal IX-X secolo. Vi sono, infatti, manoscritti greci sia in maiuscola che in minuscola, oggi sparsi per il mondo, i quali sembrano essere stati scritti in loco tra i secoli IX-X. La presenza di alcuni manoscritti in Calabria, pervenuti al pari del Codex Purpureus dall’Oriente, forse anch’essi custoditi a Rossano, tra cui alcuni fogli di un codice di Cassio Dione del V secolo, Vat. Gr. 1288, puo’ essere stata fonte di ispirazione per